" Cesare Lombroso " il mio nuovo libro illustrato
Se Jane Austen non lo avesse già utilizzato, il titolo Orgoglio e pregiudizio sarebbe perfetto per raccontare la vita di Cesare Lombroso, una favola nera ambientata ai tempi dell’unificazione d’Italia, tra briganti, folli, cretini, delinquenti, malattie terribili, guaritori, patologi, medium e spiritisti. La storia di Lombroso è la novella macabra di un uomo votato alla scienza, che collezionò teschi di pazzi e criminali e dissezionò cadaveri, alla disperata ricerca di quei caratteri primitivi che avrebbero dimostrato l’ineluttabilità dell’essere delinquente, un tema a cui si dedicò instancabilmente oscillando sul labile confine tra genio e follia. La sua è una storia che potrebbe essere scaturita dalla penna di Mary Shelley o di Edgar Allan Poe, una vicenda così mirabolante, avventurosa e ricca di aneddoti che si stenta a credere alla sua veridicità. Quella di Cesare Lombroso fu un’esistenza votata al progresso scientifico, cullata dal miraggio del positivismo, che lo portò a pensare che tutto potesse essere misurato, catalogato e controllato. Le sue teorie oggi sono state confutate ma rappresentano comunque una base di studio e importanti spunti di riflessione sull’etica della scienza e la metodologia della ricerca.
Partendo fantasticamente dai ricordi confusi che affiorano nella testa di Cesare Lombroso conservata sotto formalina, ho voluto costruire un ritratto personale del padre della criminologia moderna, figura assai controversa che ancora oggi suscita feroci dibattiti.
È curioso pensare che tale reperto anatomico non sia oggi visibile, ma custodito gelosamente in qualche luogo nascosto nel polo museale torinese, che riunisce il Museo di Anatomia Umana Luigi Rolando, il Museo della Frutta Francesco Garnier Valletti e il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso. Disattendendo alle volontà di Lombroso il suo volto è oggi negato alla vista dei visitatori e tenuto così al sicuro da curiosità morbosa, scherno, rabbia, o repulsione. Ma non fu sempre così, nel precedente allestimento nella vecchia sede di Corso Galileo Galilei, rimase esposto in compagnia dello scheletro e del cervello, per la gioia di studiosi e curiosi, anche se formalmente il museo non era aperto al folto pubblico.
Nel 1978 il preparato patologico fece un viaggio e venne esposto nella Galleria d’Arte Comunale di Bologna nella mostra Metafisica del quotidiano, curata da Franco Solmi, in una sezione intitolata L'ambiguità del rituale, che prevedeva un’installazione di Giorgio Edoardo Colombo. Qui, in un suggestivo allestimento insieme ad alcuni oggetti personali, fu messo in relazione con le fotografie della Sacra Sindone di Torino e quella di Che Guevara trovata in Sud America, dove circolava clandestinamente. Esistono un paio di fotografie a testimonianza di questa esposizione, scattate da Ando Gilardi, che partecipò anche al progetto. Sono immagini così surreali da avermi fatto pensare che si trattasse di una macabra messinscena e che sono state la prima scintilla che mi ha portato a realizzare questo libro.
Nel racconto e nelle illustrazioni, ho cercato di trasmettere la fascinazione per il personaggio ma criticandone le posizioni bigotte, razziste e intransigenti, che nel tempo sono diventate terreno fertile per tante discriminazioni, fornendo uno spunto di riflessione su una storia stupefacente e poco conosciuta ambientata in un’Italia neanche troppo lontana dai nostri giorni.
Oggi c’è chi vorrebbe dimenticare Lombroso, che auspicherebbe la chiusura del museo a lui dedicato. Con un’aspra battaglia legale viene chiesta la restituzione del cranio di Giuseppe Villella e di altri reperti appartenuti a presunti briganti, delinquenti comuni e malati di mente, per dargli sepoltura e mettere fine a quella che è ritenuta un’atroce discriminazione. Ma Cesare Lombroso è una figura che appartiene prepotentemente alla storia e alla cultura italiana, che con le sue teorie permette di far capire come la scienza si evolva continuamente e progredisca anche grazie agli errori. Cancellando la memoria non si pone giustizia a una presunta iniquità avvenuta in un’epoca che credeva ciecamente nella scienza e nel progresso e dove la diversità era vista con infinito sgomento e ostilità.
Io credo che l’oblio sia una soluzione tanto drastica quanto effimera, che permette alle ingiustizie di riaffermarsi ciclicamente, beffandosi di quanto avvenuto in passato.